Il disgelo tra gli USA e Cuba e la rivoluzione di Obama

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L’elezione di Obama quale presidente degli USA ha sicuramente segnato gli ultimi dieci anni della politica americana e mondiale. Una rivoluzione, un cambiamento epocale per la società degli Stati Uniti ancora alle prese con il drammatico problema del razzismo. Una innovazione quella del primo presidente di colore, che certamente non si è limitata unicamente al colore della pelle, ma che segna una svolta nella politica estera della super potenza mondiale, svolta che ha recentemente portato al riavvicinamento tra gli Stati Uniti e Cuba dopo oltre cinquanta anni.

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L’elezione del 4 novembre 2008 di Barack Obama ha determinato l’interruzione del decennio di presidenza repubblicana. Un periodo di tempo caratterizzato da una politica estera espressione di una ideologia che anteponeva gli interessi americani a qualsiasi norma di diritto internazionale, l’appoggio incondizionato allo Stato ebraico, la dottrina della guerra preventiva, i nefasti interventi armati in Iraq ed in Afghanistan, il riacutizzarsi della tensione con Putin.
Il nuovo presidente con la sua azione, comunque volta a garantire agli Stati Uniti il ruolo di prima potenza mondiale, è stato fautore di una nuova politica estera in forte discontinuità con gli anni precedenti. Già nei primi anni alla Casa Bianca fu forte il suo impegno nella gestione di problematiche quali quelle degli arsenali nucleari, la tensione in Medio Oriente ed i rapporti con la Russia.

In considerazione di questa grande svolta nel 2009 gli fu assegnato il Premio Nobel per la pace. “Per il suo straordinario impegno per rafforzare la diplomazia internazionale e la collaborazione tra i popoli”. Questa la motivazione per cui fu insignito dell’importante riconoscimento. Tale assegnazione è sicuramente giustificata anche dalla consapevolezza degli errori perpetrati dalla precedente presidenza repubblicana.

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Una pesante eredità che Obama dovette gestire all’indomani della sua elezione fu la tensione con la Russia. Gli anni di Bush furono caratterizzati dalla volontà di imporre al mondo il predominio economico, sociale, culturale e militare degli USA. Tale impostazione portò ad una forte crisi con la Russia in seguito alla decisione dell’esecutivo neocon di installare in Polonia, a ridosso dei confini Russi, il noto scudo spaziale.

Obama, mostrando grande pragmatismo e realismo politico, consapevole della necessaria collaborazione Russa nella lotta al terrorismo e nella gestione delle crisi nello scacchiere mediorientale, mise fine alla querelle con Putin, annullando la realizzazione del progetto. Sicuramente storico fu l’incontro tra Lavrov e Hillary Clinton che a testimonianza di questo new deal nelle relazioni tra i due paesi, si fecero immortalare dai fotografi con un telecomando con sopra la scritta “reset”.
Ma le sfide più ardue furono i conflitti in Iraq ed in Afghanistan.

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L’esecutivo democratico, consapevole delle difficoltà di gestire due teatri bellici, fissò una data per il ritiro dei soldati dall’Iraq, in modo da concentrare gli sforzi su quella che si presentava l’area più problematica: l’Afghanistan.

Dopo l’abbandono del paese che patì la feroce dittatura di Saddam Hussein, si cercò di pacificare l’aerea afghana, contrastando il fondamentalismo e portando il paese ad elezioni quanto più democratiche possibile.

Altra grande sfida fu il programma nucleare iraniano. Il paese mediorientale, perseguendo un piano presentato dal suo governo come pacifico, diede il via alla costruzione di centrali nucleari. Anche qui Obama, in discontinuità con il suo predecessore, oltre alla linea dura, ha sempre mantenuto aperta la porta delle trattative e del dialogo con l’Iran, anche in considerazione del peso di quel paese in un’area geopolitica assai difficile e dell’impegno di entrambi nella lotta al fondamentalismo sunnita dilagante.
Ma la recente svolta, che sicuramente può considerarsi storica, è il riavvicinamento con Cuba. L’isola centroamericana, da cinquanta anni soggetta ad una dittatura comunista con a capo la famiglia Castro, spina nel fianco del gigante statunitense, che causò il rischio di una terza guerra mondiale, dopo decenni di isolamento ha la possibilità di instaurare un dialogo con gli USA grazie all’azione di Obama.

Da oggi cambiano i rapporti tra il popolo americano e quello cubano. Si apre un nuovo capitolo nella storia delle Americhe”; “Non si favoriscono i diritti umani cercando di far fallire gli stati”; “Cuba non cambierà da oggi all’indomani.”Queste le dichiarazioni di Obama, espressione del suo pragmatismo e realismo politico. Superare, quindi, la sterile politica dell’isolamento della dittatura cubana, affrontandola sul terreno del dialogo e del confronto, sconfiggere l’autocrazia dei Castro con una pacifica esportazione dei valori di democrazia e di rispetto dei diritti umani, questo l’obiettivo perseguito dalla realpolitik dell’esecutivo democratico.
E’ necessario chiedersi quale bilancio può trarsi della presidenza di Obama sotto il profilo della politica estera. Il cambio di marcia rispetto all’esperienza degli anni precedenti c’è sicuramente stato. Certo, a poco tempo dalla conclusione del suo secondo mandato, rimangono sul tappetto molte e gravi problematiche. Si pensi allo scenario ucraino e ai contrasti con la Russia, allo Stato Islamico dilagante nelle regioni dell’Iraq e della Siria, nonché alla questione dello Stato Palestinese segnata dalle incerte e dai silenzi dell’esecutivo Obama, il quale non ha saputo prendere una posizione forte sulle spregiudicate azioni militari dello Stato ebraico.

Ciononostante, i risultati della nuova filosofia dell’esecutivo democratico sono sicuramente positivi. L’approccio dialogante, la necessità di risolvere le crisi internazionali in appositi consessi tra stati, il recupero del valore della concertazione e della collegialità nelle decisioni, sono un cambiamento radicale rispetto alle infelici esperienze del passato.

Questo il lascito sul piano della politica internazionale di una amministrazione americana che ha segnato una svolta, un cambio di passo sempre nel perseguimento dell’obiettivo dell’esportazione di valori universali, una trasmissione che avvenga però attraverso il rispetto delle regole del diritto internazionale e nei consessi a ciò legittimati. Si tratta di una forte innovazione nelle politiche degli Stati Uniti di cui il prossimo presidente dovrà accettare il testimone.