Gli USA vincono i mondiali. Conosciamo meglio Team USA.

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Il Mondiale di Basket Spain 2014 è giunto al termine e i vincitori, come previsto, sono stati gli americani.

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Certo, diranno i più, ci mancherebbe altro: l’hanno inventato loro questo gioco, hanno la Nba, là giocano i più forti, e, poi, ci mancherebbe altro se non vincono loro.

Tuttavia, questo Team USA non era la selezione dei super campioni Nba. Il basket americano non approva moltissimo il fatto che giocatori pagati oltre i 20 milioni di dollari passino l’estate a giocare e rischiare di infortunarsi. Quindi, a questi mondiali sono stati convocati tanti giovani promettenti che è opportuno conoscere meglio. Qualcuno aveva azzardato definirla “la peggior nazionale di sempre”. A prescindere dalla vittoria finale, si può tranquillamente affermare che questa frase non potrebbe essere più sbagliata.

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LUNGHI. L’analisi del roster non può non partire dai lunghi. Coach K non ne ha portati tanti, 6, ma ognuno di questi ha dato il suo apporto, chi più chi meno. Dimostrando così che, nonostante il basket si evolva sempre più lontano dalla zona pitturata, le partite si vincono ancora là sotto, facendo a sportellate per 48 minuti e più.

DeMarcus Cousins. Centro devastante dei Sacramento Kings, cresciuto in Alabama dove diventa McDonald’s All American, affermandosi a 19 anni come uno dei migliori centri nati negli ultimi anni. Classe 1990, De Marcus ha affinato il suo talento cristallino a Kentucky e poi è entrato nella Nba come quinta scelta assoluta del draft 2010, scelto dai Kings, squadra di grandi giovani talenti. Nella capitale della California, Cousins ha messo in mostra tutto di sé: difetti, discontinuità di rendimento e un carattere fin troppo fumantino e pronto alla rissa, e pregi, movimenti in post eccellenti, un mix di tecnica e potenza come pochi altri in giro e un trattamento della palla fuori dal comune. Il fisico è qualcosa di impressionante, 211 cm per 129 kg di puro adamantio, scolpito da muscoli perfetti e una forza bruta degna dei grandi predecessori nel ruolo. Sta crescendo tantissimo e sembra pronto a diventare il dominatore del pitturato Nba. 26 punti di media a partita nell’ultima stagione non sono da tutti. Gigante per nulla buono.

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Anthony Davis. Fear the brow. Temete il sopracciglio. Ecco questo ragazzo dividerà il pitturato Nba con il figlio dell’Alabama di cui abbiamo appena scritto. Classe 1993, già parte della nazionale americana a Londra 2012 e, quindi, già proprietario di un oro olimpico nel suo palmares, Davis è un giocatore unico nel suo genere: alto e tecnico, potente ma rapidissimo, schiacciatore ma dotato di un arresto-e-tiro dalla media di rara efficacia e un’innata capacità di guidare la squadra. Difficile assegnarli un ruolo, anche inutile dire, dato che dove lo si mette sul campo ha un rendimento pazzesco. Ha chiuso la sua seconda stagione Nba con una media di 20 punti e 10 assist. Che altro dire se non ripetere. Fear the brow.

Andre Drummond. Meno noto dei due precedenti giocatori, sicuramente un gradino sotto a entrambi ma mai sottovalutare un lungo Nba, soprattutto se gioca a Detroit. I Pistons sono ormai una delle peggior squadre d’America, come del resto la loro città, Detroit, ormai sul lastrico. Molto più vicino a Cousins come caratteristiche, Drummond non ha la stessa tecnica della star dei Kings ma è un osso duro per tutti, su entrambi i lati del campo. E’ un rimbalzista dai rari istinti, difficile che un tiro sbagliato nella sua area non lo catturi lui. E’ stato MVP del Rookie Challenge rubando 25 rimbalzi. Inarrestabile in attacco dove ha movimenti solidi e potenti sotto canestro. Non saprà tirare dalla media e nemmeno dare via assist no-look. Old School.

Kenneth Faried. Il Fattore con la F maiuscola di questi mondiali spagnoli. E’ un lungo di fatto, ma non di centimetri. 203 cm non fanno di un giocatore un lungo, ma vederlo sul campo fa cambiare idea subito. Attività impressionante, capacità di salto incredibile, difensore spettacolare e attaccante che fa dell’esplosività la sua chiave per sfondare le difese avversarie. Chiudete gli occhi e pensate a 10 anni fa, c’era uno come lui che vinse anche un titolo Nba: Ben Wallace. In questo mondiale ha fatto vedere grande superiorità atletica, impressionante sia se paragonato agli altri stati sia se in relazione ai compagni. Oltretutto, Manimal dimostra una grande forza pur non essendo uno dei più quotati della lega. Big Ben is back.

Mason Pumlee. Visto poco in campo, il classico lungo americano con il collo lungo e movimenti educati. Un giocatore necessario in ogni squadra Nba. Difficile trovagli un punto debole ma anche un punto di eccellenza. Grande carattere, grande stile. Old school.

ALI. Se con i lunghi si vince, con le ali si domina. La Nba è dominata dalle ali piccole devastanti: Lebron, Durant, Melo sono i migliori nel ruolo, sono campioni completi che eccellono sostanzialmente in ogni aspetto del gioco.

James Harden. Fear the beard. James Harden è stato uno dei leader della selezione americana vincitrice del mondiale spagnolo. James non sa difendere, verissimo. Attacca, tuttavia, come pochissimi al mondo. Tira da tre con rara efficacia, va dentro l’area con facilità e finisce con la mano sinistra con percentuali abbacinanti. Oltre alle doti offensive e realizzative, il Barba non è arginabile come leader, come trascinatore anche e soprattutto quando parte dalla panchina. La sua mano sinistra dovrebbe essere patrimonio mondiale dell’umanità. Se Team Usa ha eguagliato i record del 1994 di almeno 30 punti di vantaggio a partita è anche merito suo. You can’t stop the beard.

DeMar DeRozan. Da Toronto ci sono due ali fenomenali che volano molto alto, Demar e Ross. In Spagna, è andato solo DeMar e ha fatto più volte sobbalzare il pubblico con penetrazioni formidabili e notevoli schiacciate. Uno dei meno quotati della selezione ma di sicuro tassello imprescindibile della vittoria in Spagna. Demar vola.

Rudy Gay. Compagno di DeMarcus Cousins a Sacramento, Rudy è uno dei lunghi atipici che ha fatto molto comodo a coach K in questo mondiale. Giocatore poliedrico, ala piccola esplosiva e ala forte pressoché immarcabile dato un ball handling pazzesco e di una capacità di elevazione da fare strabuzzare gli occhi, Gay ha un potenziale infinito. Gioca in ruolo in cui ci sono i migliori cestisti del mondo. Lui non è da meno. Rudy l’atipico.

PICCOLI. Certo con i lunghi si vince, con le ali si domina ma senza i piccoli non si va da nessuna parte. Coach K ha portato nella penisola iberica giocatori che tra non molto avranno in mano la Nba. Alcuni, a dirla tutta, già sono azionisti di maggioranza della lega del pallone a spicchi. Loro hanno portato Team Usa sul tetto del mondo.

Splash Brothers. Per chi non lo sapesse, Klay Thompson e Steph Curry sono gli spalsh brothers. Il loro soprannome nasce dalla loro tremenda capacità di segnare da dietro l’arco del tiro da tre e non sono stati da meno nella terra di Cervantes. Klay tira da tre con il 41% in Nba ed è una sentenza ogni volta che si alza al tiro. Sono anche loro gli artefici del successo. Spalsh.

Derrick Rose. Forse l’unica vera nota stonata di questa nazionale pazzesca. Il numero 1 di Chicago non è più sé stesso, fa fatica ad esprimersi come sapeva fare prima del doppio infortunio. Certo, il gioco che D-Rose faceva vedere richiedeva condizioni fisiche pressoché perfette e un’esplosività fuori dal comune che, forse, il ragazzo non ha più. Unica delusione.

Kirye Irving. Come convincere Lebron di aver fatto bene a tornare a Cleveland? La risposta è nelle statistiche del ragazzo dei Cavs. Che fosse forte non c’erano dubbi, che sapesse portare la palla e segnare come solo pochi possono fare nemmeno ma che potesse portare sulle spalle la squadra e condurla alla vittoria non ce l’aspettavamo. Ecco Irving ha fatto vedere una maturità fuori dalla norma e si candida come uno dei futuri signori del gioco. Lebron who?

Team Usa è e resterà nella storia del gioco. Nessuna selezione americana era partita con così poche speranze e poche altre edizioni hanno visto un dominio così netto ed indiscusso come Irving e company.